A Baselworld 2019 nello spazio riservato a Marchi appena nati o ancora in divenire (come per esempio era allora Riskers) c’era anche Raketa, marca russa, nata nel 1961 in epoca di lanci nello spazio, la cui produzione in Italia si era fatta notare quando era esplosa la mania per gli orologi d’oltre Cortina, capitanati dalle proposte di Artime e di Margaritelli.
At Baselworld 2019 Watch Incubator there was also Raketa, even if this Brand was founded in 1961 when in Italy Russian watches (thanks to Artime and Margaritelli) were in pole position.
Adesso un Comunicato Stampa informa che è stato prodotto in 300 esemplari l’automatico Code Russe: un orologio in acciaio, ø 40,5 mm, trattato black o pvd oro rosa, lunetta girevole, oblò in vetro zaffiro sul fondello e movimento automatico che fa ruotare le lancette al contrario; i rubini sono 24 e le A/h, 18.000, autonomia 40 h, scarto +10-20″ al giorno, rotore bidirezionale decorato; al centro del quadrante un disegno legato alla naturale rotazione dei pianeti nel mondo conosciuto.
Non ce ne vogliano gli estimatori della Russia, se a questo punto ci è venuta in mente la storiella di Popov che aveva inventato tutto e prima di tutti.
A lungo gli orologi meccanici ebbero una sola lancetta, quella delle ore; il suo movimento seguiva la luce solare e identificava gli spazi del giorno dedicati alla preghiera o al lavoro. Da secoli sappiamo che il Sole è al centro del nostro sistema planetario, conosciamo le rotazioni dei pianeti da destra verso sinistra e per ciò che concerne la Terra la rotazione sul suo asse e la sua rivoluzione nei confronti del Sole, ma il cammino delle lancette (nel XVII secolo arrivò quella dei minuti) è rimasto inalterato. Forse perché i primi orologi, così come li intendiamo oggi, sono stati realizzati nell’Emisfero del Nord dove il cammino del Sole dava questa illusione o più semplicemente per non creare confusione, così prendiamo atto della curiosità del nuovo Raketa che obbligherà i proprietari a rivedere mentalmente le vecchie cognizioni; però non ci convince l’idea che in un’epoca “green” ci si debba allineare per forza alla natura, a meno che non si ipotizzino vite su altri pianeti, cosa che, almeno per ora, resta nei confini della fantascienza.