Recentemente un giovane collega lamentava l’ingerenza della pubblicità sul lavoro giornalistico. Non aveva tutti i torti. La libertà di stampa dipende da editori, direttori, capiredattori e capiservizio, ma, soprattutto, dipende dagli investimenti pubblicitari che hanno il coltello dalla parte del manico.
A young collegue was complaining about advertisement power on journalist’ job and in many cases this happens. Here I am remembering some interviews; I was lucky having found an intelligent publisher and having always avoid, like others collegues, scoop without proofs.
Va poi considerato il rapporto di forze tra un grande quotidiano o una rivista specializzata nei confronti della pubblicità. Da qui a dire che quanto viene pubblicato è tutto pagato ne corre; certo che sempre più spesso la professione del giornalista è quella di un impiegato che sa scrivere e, soprattutto, copiare la marea dei comunicati stampa.
Ancora più difficile dribblare le richieste se queste arrivano da un CEO. Nel 1992 a Ginevra, per il 250° di Vacheron Constantin, Proellochs fece ai giornalisti italiani (alcuni, proprietari di riviste) una “proposta indecente”, anche se il famoso film apparve solo l’anno seguente. Chiese, con un sorriso sornione, di modificare per l’occasione le testate. Ora la testata di un giornale è sacra, è tutto il suo patrimonio. In equilibrio sulla corda pochi presero la parola, ma il collega Disma Sutti, che collaborava con POLSO, rispose subito che la decisione spettava agli editori, non ai giornalisti. Nel nostro caso Eugenio Zigliotto se la cavò brillantemente salvando capra e cavolo; la rivista n°112/2005, cellophanata, uscì con una mascherina in alcantara nelle edicole, quelle spedite per abbonamento postale naturalmente non cambiarono nulla.
Avendo opportune prove si può scrivere ciò che si pensa, sperando nell’intelligenza dei capi e dei lettori. Ricordo un’intervista a Cristophe Claret che mi aveva raccontato i problemi avuti con un movimento ripetizione minuti tourbillon. Allora le imprese orologiere non erano così smaliziate come oggi. Poco dopo da Corum, su una parete vidi il disegno di un gran complicato, nessuno se ne curava; poco male, 2+2 fa quattro, ma l’articolo dedicato a Claret con relative foto, provocò rimostranze per “inopportunità tempistica”, da parte dell’allora distributore in Italia. Rocambolesco il racconto di un collega che, distraendo il personale, fotografò all’ingresso di uno stabilimento la tabella dei movimenti, orgoglio aziendale, distribuiti ad altri Marchi, e le cifre furono in seguito una prova inoppugnabile. Sta poi alla correttezza del giornalista decidere come e quando usare prove e informazioni, evitando scoop dai toni scandalistici. Come accadde nella presentazione del Cosmograph Rolex Daytona da parte di una rivista, che focalizzava l’attenzione sulla grande differenza di prezzo rispetto al cronografo Zenith con identico Calibro El Primero.
In quel caso – POLSO n°47/1995 – per dare a Cesare quel che è di Cesare, il responsabile tecnico di Rolex Italia ci spiegò le diversità fra i due calibri; forse non erano tali da giustificare la diffferenza di prezzo, ma qui entrava in gioco il rapporto domanda-offerta e non c’era nulla da obiettare; d’altro canto il Rolex Daytona El Primero era già un passo avanti rispetto al pur valido ed evergreen Rolex Daytona Valjoux.